Da giocatori di ruolo e traduttori, siamo stati spesso portati a riflettere sull’importanza che i GdR possono avere per le persone che appartengono alle categorie discriminate e sul come una rappresentazione della realtà più inclusiva non possa prescindere da un uso della lingua più responsabile e attento.
Il gioco di ruolo può rappresentare una buona occasione per esplorare aspetti della propria identità che spaventano o che ancora non si è avuto il coraggio di affrontare nella vita reale. Questo tipo di giochi, infatti, dà la possibilità di creare un personaggio con le caratteristiche che si desiderano e di plasmare un mondo di fantasia all’interno del quale è possibile fare moltissime esperienze personali diverse, affrontare sfide e dilemmi nei confini di uno spazio sicuro.
Abbiamo deciso di parlarne con chi rappresenta La Gilda, un progetto che si occupa di giochi di ruolo e inclusività da molti anni, che ringraziamo per la bellissima intervista.
Presentazione
Ciao! Ci presenti La Gilda?
Ciao! Per noi è sempre un piacere avere l’opportunità di raccontare la nostra storia e il nostro progetto. La Gilda nasce nel 2014, ormai 6 anni fa, come un variegato gruppo di persone appassionate di gioco e cultura nerd che avevano scelto di riunirsi sotto la bandiera del Cassero LGBTI center di Bologna, con l’obiettivo di creare uno spazio inclusivo, sicuro, dove chiunque potesse sentirsi a proprio agio nel condividere le proprie passioni ed esprimere la propria identità. Già da allora gioco di ruolo e gioco da tavolo erano per noi strumenti trasversali di socializzazione e aggregazione di comunità. Negli anni il gruppo è cresciuto molto, arricchendosi in termini di risorse e competenze, costruendo una fitta rete di rapporti con tante altre realtà attive nella community italiana del gioco.
Che cosa fa La Gilda?
La Gilda opera a vari livelli. Sul piano locale organizziamo ogni due domeniche degli appuntamenti dedicati ai giochi da tavolo, ai giochi di ruolo e ai videogiochi, che si tengono dalle 16 alle 22, negli spazi del Cassero LGBTI center di Bologna. Oltre a questo nostro appuntamento fisso, organizziamo altri incontri ed eventi periodici dedicati alla socializzazione e alla divulgazione della cultura nerd.
La Gilda ha buone relazioni con alcune delle principali case editrici italiane di giochi da tavolo e di giochi di ruolo: con loro partecipiamo alle fiere di settore, dimostrando i loro giochi e allo stesso tempo portando sul tavolo i nostri valori. Organizziamo inoltre eventi in collaborazione con altre associazioni e realtà ludiche e il nostro impegno è costantemente rivolto a sensibilizzare la comunità ludica italiana.
La Gilda, infine, è diventata nel tempo un vero e proprio laboratorio ludico: attraverso Kickstarter abbiamo prodotto Lobbies, il primo gioco di carte italiano a tematica LGBTQI+, che continua a regalarci tante soddisfazioni e che è solo il primo di tanti progetti che speriamo di realizzare in futuro.
La Gilda nel mondo
In che modo La Gilda porta la comunità LGBTI negli ambienti dove non è ancora rappresentata ufficialmente?
Come accennato poco fa, lo facciamo invadendo con il nostro rosa i più importanti spazi di aggregazione della comunità ludica italiana. Il rosa per noi non è solo un colore, bensì un valore, una scelta politica di visibilità ed un richiamo storico. Lo facciamo anche negli spazi online e virtuali, attraverso l’approfondimento e la condivisione di contenuti relativi, ad esempio, alla rappresentazione di genere nei prodotti ludici o ai comportamenti discriminatori al tavolo da gioco.
Lo facciamo creando nuovi giochi, come Lobbies, e facendo in modo che negli scaffali delle ludoteche ci siano titoli apertamente e dichiaratamente LGBTQI+. Lo facciamo, ancora, guadagnando la stima delle case editrici e valorizzando i rapporti che costruiamo con tutte le realtà ludiche.
Come vengono accolte le persone che rappresentano La Gilda in questi ambienti?
Devo dire che raramente ci è capitato di percepire dell’ostilità diretta: spesso l’omolesbobitransfobia è vigliacca e non ha il coraggio di manifestarsi apertamente. Noi ci presentiamo sempre rivendicando l’orgoglio delle nostre identità. La visibilità è la nostra forza. Nel tempo, guadagnandoci fiducia e rispetto come gruppo ludico e associazione, abbiamo raccolto numerosi attestati di stima. Il feedback più importante resta però quello delle persone che facciamo giocare, che si sentono accolte e veramente libere sapendo di ritrovarsi in uno spazio in cui non sono ammessi comportamenti discriminatori e irrispettosi.
Riuscite a comunicare con dei tipi di pubblico diversi da quelli già attenti alle dinamiche dell’inclusività? Credete che sia possibile sensibilizzare anche le persone discriminanti?
È possibile ed è uno dei nostri obiettivi. La Gilda ha scelto il gioco come suo strumento primario proprio per produrre impatto sociale e politico. Noi vogliamo cambiare la comunità ludica italiana, vogliamo aiutare a renderla più inclusiva, più aperta e unita, e questo è possibile solo con una vasta condivisione di valori. Ritrovarsi attorno a un tavolo per giocare è un’azione che implica necessariamente la condivisione volontaria di un sistema di regole comuni.
Al tavolo di gioco si instaura una condizione di parità di mezzi. In questo senso, il gioco è uno strumento egualitario. Dal momento in cui tutte le persone al tavolo aderiscono alle regole, non esistono più distinzioni, ad esempio, di genere, etnia o reddito percepito. Il gioco, quindi, è un veicolo potente, uno strumento dal grande valore formativo ed è questa la leva su cui noi cerchiamo di agire.
Rappresentazione e dinamiche tossiche nei giochi di ruolo
Secondo voi, l’inclusione delle categorie discriminate nelle storie che vengono narrate può aiutare a sensibilizzare e a fornire gli strumenti per la comprensione e l’accettazione di queste categorie da parte di chi non le conosce? Se sì, in che modo?
Se può aiutare? Ti dirò di più: è fondamentale, è indispensabile e non più rimandabile. Veniamo da un passato, non troppo lontano, in cui nel raccontare una storia, o magari nel costruire un videogioco, la figura centrale, protagonista, positiva, eroica, non poteva che essere un uomo bianco mascolino ed eterosessuale. Se la protagonista era donna, invece, veniva necessariamente sessualizzata, anzi ipersessualizzata: veniva rappresentata con abiti sempre aderenti e discinti, basti citare le classiche chainmail bikini.
I personaggi con sessualità non conformi al modello egemonico venivano rappresentati spesso come antagonisti, deviati, eccentrici e macchiettistici, nel migliore dei casi spalle comiche. Questo modello sbagliato può influenzare le persone giovani, che ne vengono intrise fin da piccole interiorizzando stereotipi e soffrendo nel non riconoscersi, nel non ritrovarsi in quelle storie.
Una corretta rappresentazione delle diversità è, secondo noi, ormai irrinunciabile per un prodotto, sia esso ludico o di intrattenimento. Per fortuna, negli ultimi anni ci sono stati buoni esempi e, se continueremo su questa strada, pensiamo che sarà possibile che le nuove generazioni, cresciute con modelli più liberi e variegati, possano costruire un mondo meno discriminante e patriarcale.
Può succedere che alcuni giocatori riversino nel gioco i propri pregiudizi e le proprie convinzioni, rischiando di rendere il gioco un’esperienza spiacevole per gli altri. La Gilda come gestisce gli argomenti da trattare affinché i giocatori si sentano a proprio agio e si divertano?
Per noi è cruciale che durante gli eventi di gioco si instauri uno spazio, inteso come “spazio umano” e non solo fisico, che sia in assoluto non giudicante, non discriminante, inclusivo e rispettoso: uno spazio in cui ogni persona possa sentirsi veramente a proprio agio nell’esprimere in maniera spontanea e libera la propria identità. Uno “spazio sicuro” è questo e tante altre cose.
Assieme ad altre realtà della community ludica italiana, Donne, Dadi & Dati in particolare, abbiamo intrapreso un percorso di studio e ricerca volto a definire quali siano i requisiti e le accortezze utili per creare uno “spazio sicuro”. Parliamo, ad esempio, di meccaniche di sicurezza: ad esempio strumenti come Carta X, Linee e Veli, Sessione Zero per i giochi di ruolo.
Ma parliamo anche di regole di condotta, attenzione, empatia e tanto altro. Un piccolo e semplice esempio sono delle etichette adesive colorate che utilizziamo durante i nostri eventi, su cui le persone possono scrivere il proprio nome e il pronome che desiderano venga utilizzato.
Strategie linguistiche per l’inclusività
Dal punto di vista linguistico, che scelte adottate per rivolgervi tra giocatori, ai personaggi o ai PNG in maniera inclusiva? Cosa ne pensate delle soluzioni adottate da alcuni parlanti italiani per neutralizzare la lingua, come l’uso degli asterischi o delle U?
Grazie per questa domanda, che richiederebbe una risposta estremamente complessa e articolata. La Gilda si fa promotrice dell’uso di un linguaggio inclusivo, che garantisca a tutte le persone la “rappresentazione” di cui parlavamo poco fa.
L’Italiano è notoriamente una lingua androcentrica: non ha una forma neutra, declina i plurali al maschile e ci pone davanti ad una questione di invisibilità. Entrando in una stanza con un gruppo di 100 persone, di cui 99 donne e 1 uomo, per la nostra lingua noi dovremmo dire “buongiorno a tutti” e non “buongiorno a tutte”: le donne in questo caso sono linguisticamente invisibili.
Senza scendere in troppi dettagli, noi come gruppo facciamo in modo di esplicitare sempre che al tavolo ci sono “giocatrici e giocatori”, che in un gioco di ruolo possiamo avere “una master”, “narratrici e narratori”. È molto usata anche la scelta di utilizzare il femminile politico o femminile inclusivo, per il quale ad esempio ci si rivolge indistintamente con il femminile nei plurali, ribaltando il paradigma linguistico italiano.
Un ulteriore raffinamento di queste regole riguarda l’inclusione delle persone di genere non binario (ovvero le persone che non si riconoscono né nel genere femminile, né in quello maschile): in questo caso è da preferire l’uso di forme neutre come “le persone giocanti”, “le persone al tavolo”, “chi gioca”, “chi narra” ecc.
Infine, sull’uso dell’asterisco o anche della @ si potrebbe parlare a lungo. In italiano, il loro uso nella lingua scritta permette di esprimere un genere neutro e rappresenta la soluzione più rapida e inclusiva: a tutti gli effetti è come un suffisso non binario. Il loro difetto è quello di spezzare la sonorità: non avendo traduzione fonetica, sono inutilizzabili nel parlato. La -u è stata introdotta proprio per questa ragione, essendo l’unica vocale in italiano non utilizzata per esprimere un suffisso di genere (tutt-a, tutt-e, tutt-i, tutt-o, tutt-u).
Essenzialmente, noi crediamo che l’importante sia essere rispettose delle preferenze altrui, ad esempio accertarsi del pronome che le persone con cui giochiamo desiderano venga utilizzato per indicarle. Per quanto riguarda i PG e i PNG, sta a chi narra integrare e descrivere anche le loro preferenze linguistiche di genere nel gioco.
Giochi di ruolo consigliati per aprirsi a nuove prospettive
Avete giochi da consigliare che mettano al centro dinamiche diverse da quelle dominanti?
Ci sono molti titoli che permettono di riflettere su tematiche legate alle discriminazioni, ai ruoli e agli stereotipi di genere, al ruolo della società nei confronti dell’individuo e al rispetto per le soggettività difformi. Lo strumento che meglio permette di veicolare questo tipo di contenuti è senza dubbio il gioco di ruolo. Ad esempio, Cuori di Mostro di Avery Alder è un gioco queer che parla delle vite incasinate di adolescenti che sono anche mostri. Dream Askew, sempre di Avery, parla di una comunità queer che sopravvive in uno scenario apocalittico. Sagas of the Icelanders non è solo un gioco “sui Vichinghi”, ci parla anche dei ruoli di genere. In Kagematsu i ruoli di genere sono volutamente capovolti. In Sigmata vediamo la rivolta contro un regime totalitario in una distopia cyberpunk.
Per chi vuole qualcosa di più leggero, in Big Gay Orcs scopriamo che anche gli orchi hanno un lato tenero o focoso. La scena italiana è ben rappresentata: DuraLande di Marta Palvarini è ambientato in un futuro di continua “guerra fredda” economica, mentre Stonewall 1969 di Stefano Burchi racconta un episodio cruciale nella storia dei movimenti LGBT.
Nel comparto dei giochi da tavolo la questione è più complessa. Ultimamente le case editrici sono più attente, vediamo più diversità. Di tanto in tanto vediamo anche giochi da tavolo che sfiorano temi a noi cari, come Fog of Love, mai tradotto in italiano, in cui si presenta una storia d’amore tra due personaggi di qualunque genere. Ma nel complesso la rappresentazione nei giochi da tavolo è spesso assente o poco centrale. Anche per questo abbiamo scelto di creare noi un gioco da tavolo che fosse inclusivo e mettesse al centro il tema delle identità. Lobbies vuole essere il ritratto (auto)ironico di una comunità colorata, piena di sfaccettature, che celebra la diversità e la erge a valore fondante, ma che talvolta non è priva di contrasti. Abbiamo pensato di giocare proprio ironizzando su questa contesa e creando un prodotto che fosse allo stesso tempo divertente e sfidante.